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Gilardino: “L’Italia ha bisogno di più attenzione nei settori giovanili”

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Raggiunto dai microfoni de Il Secolo XIX, il tecnico rossoblù ha parlato della situazione attaccanti in Italia

Nell’edizione odierna de Il Secolo XIX, Alberto Gilardino ha parlato della situazione attaccanti in Italia e sulla difficoltà che sta avendo la Nazionale nel trovare protagonisti di peso. Queste le sue dichiarazioni:

SULLA MANCANZA DI ATTACCANTI NUOVI IN NAZIONALE: “Nei settori giovanili servono competenza e formazione per far nascere dei talenti, sia in attacco, sia negli altri ruoli. Invece capita spesso che non si investa sugli allenatori e questi non hanno le possibilità di formarsi adeguatamente perchè devono fare anche un altro lavoro”.

SULLA MANCANZA DI FANTASISTI: “Voglio riferirmi al 2006: in quel momento lì c’era una scuola precisa e tanta scelta. In Germania c’erano Iaquinta, Totti, Inzaghi, Del Piero, Toni. E altri forti sono rimasti a casa come Vieri, Di Natale e Cassano. Sono sicuro che con la giusta attenzione si possa trovare talenti anche in Serie B e in Lega Pro”.

SUL RUOLO DELL’ATTACCANTE: “È assolutamente determinante, l’attaccante centrale sta tornando di moda. Al Master ho fatto la tesi sul l’evoluzione degli attaccanti, da quando giocavo io ai vari cambiamenti con il falso nove o le seconde punte”.

SULLA SUA CARRIERA DA ALLENATORE: “Ho fatto il corso quando ho smesso di giocare e a settembre ho avuto subito la possibilità di collaborare con il Rezzato in Serie D. Non mi interessava la categoria, volevo solo capire di più il mestiere. Da lì sono arrivate le altre esperienze a Vercelli e Siena”.

SU PRANDELLI, ANCELOTTI E LIPPI: “Oltre a loro sono stati importanti per me Pioli, Gasperini e Mihajlovic. Alla fine tutti quanti mi hanno lasciato qualcosa di importante. Adesso però tocca a me essere determinante”.

SUL PASSAGGIO DA GIOCATORE AD ALLENATORE: “Ho avuto la fortuna di non sentirlo troppo, dato che ho iniziato appena finito di giocare. Non mi sono mai fermato. Nessuno mi potrà togliere quello che ho fatto da allenatore, ma per crescere come allenatore non devo vivere nei ricordi”.

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