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Processo ultrà Genoa, Leopizzi: “Storia raccontata male per far diventare il gatto nero ancora più nero”

Il processo agli ultrà del Genoa va avanti e Massimo Leopizzi ha rilasciato dichiarazioni spontanee durante un'udienza

genoa

L’edizione odierna del Secolo XIX riprende il processo riguardante le presunte estorsioni e pressioni degli ultrà rossoblu nei confronti di società e giocatori del Genoa.

Massimo Leopizzi si difende dalle accuse che la Procura ha mosso nei suoi confronti. Contestandogli di essere stato la guida di un gruppo di ultrà che, fra il 2010 e il 2018, ha tenuto in scacco la società del Grifone. Minacciando i giocatori. E intimidendo i suoi vertici, così da ottenere denaro in cambio di una relativa tranquillità ed evitare sanzioni al Genoa. Per i sostituti procuratori Francesca Rombolà e Giancarlo Vona, un’associazione a delinquere. leri Leopizzi, che è fra questi, ha parlato in aula. Fornendo spontanee dichiarazioni, assistito dal suo legale Stefano Sambugaro.

Ecco le dichiarazioni di Leopizzi. “Non sono capo di nessuno, ma un leader riconosciuto anche dall’ufficio stadio della polizia. ma solo striscioni, che se quelli sono violenze allora gli operai della Fiom che sfilano possono essere sempre accusati. Nessuna estorsione, se avessi voluto farne una a Preziosi o alla società sarei andato a farmi dare 100 biglietti a partita e… fatevi i conti, tutto black da mettermi in tasca. Sempre se avessi avuto la forza criminale che mi viene attribuita. Nel 2005 non volevamo ricattarlo, con quella cassetta, ma fargli dire che voleva vendere la società. Perché la sua prima moglie ci aveva messo in contatto con un imprenditore bresciano che voleva comprarla: io e un dirigente del Genoa avevamo incontrato a Lumezzane un suo intermediario. Chiedeva rassicurazioni sul fatto che Preziosi volesse vendere davvero. Perciò lo
avevamo registrato.” Poi Leopizzi aggiunge: “Una storia raccontata male per far diventare il gatto nero ancora più nero.

I rapporti con “le due polizie di Genova”, come Leopizzi chiama la Digos e la Mobile, sono un tema che l’imputato tiene per il finale. “Per la squadra stadio ero una figura di garanzia. Sono sinceramente affezionato a Fioriolli. Ma cercavo di andare d’accordo anche con quelli della squadra mobile allo stadio. Un loro commissario, in un periodo in cui non potevo entrare in curva, mi aveva detto che avrebbe chiesto ad altri funzionari di fare istanza per concedermi di assistere alle partite più critiche”.

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